Come comunicare le ragioni della vita e le ragioni per cui l’aborto è incompatibile con i diritti fondamentali dell’essere umano alla vita e alla libertà è da sempre argomento di dibattito e di studio fra i promotori del diritto alla vita.
Storicamente, in Italia il dibattito è stato fondato soprattutto su questioni di diritto, etiche e filosofiche; tale approccio, certamente adeguato per i consessi della politica e degli addetti ai lavori, rischia però di essere del tutto inefficace quando la questione diventa quella di conquistare le menti ed i cuori del largo pubblico, e di modificare così gli orientamenti di fondo della pubblica opinione.
Per un verso i temi di diritto, etici e filosofici che animano i promotori del diritto alla vita risultano per lo più di difficile comprensione e spesso del tutto estranei agli orizzonti culturali del largo pubblico.
Per l’altro l’approccio basato sull’argomentare secondo gli strumenti della razionalità e della consecutio logica trascura una componente fondamentale dei processi decisionali umani, fondati in larga parte su processi intuitivi ed inconsci; spesso, intatti, la componente logica del pensiero fornisce una copertura razionale alle decisioni che assumiamo solo a posteriori, dopo che le decisioni, inconsciamente, sono già state prese.
Tale comprensione dei processi decisionali, maturata ormai da tempo soprattutto nel mondo della comunicazione, sia commerciale che politica, si è sviluppata molto nel dibattito sul ruolo dei cosiddetti cervello destro e cervello sinistro nei processi percettivi e decisionali, e si è estesa da ultimo in modo esponenziale con lo sviluppo delle cosiddette neuroscienze.
Ancorché la distinzione fra cervello destro e cervello sinistro risulti superata dal punto di vista del mondo scientifico, che ha maturato una comprensione assai più articolata del ruolo delle singole componenti del cervello, è ancora utile a livello divulgativo per comunicare taluni concetti di base.
Semplificando di certo eccessivamente, ma giusto per rendere l’idea, si può dire che l'emisfero sinistro del cervello è quello deputato ai processi logico-simbolici ed analitici, come il linguaggio, la concatenazione logica degli eventi e le sequenze temporali, mentre il cervello destro è maggiormente coinvolto nella percezione di insieme ed emotiva delle immagini, degli eventi ed in generale degli stimoli, come se una parte del cervello fosse quella “logico-razionale”, e l’altra quella “percettivo-emozionale”.
Al di là dell’inesattezza di questa distinzione, come abbiamo già detto estremamente sommaria, il concetto che rimane però vero e che è quello che qui interessa è che, come in tutti i processi decisionali, anche nel prendere posizione sull’aborto entrano in gioco non solo il ragionamento logico-razionale, ma anche processi emotivi, più o meno trasparenti alla coscienza, di cui la comunicazione prolife, se vuole essere efficace, deve tenere conto.
Ed invero si ritrovano già esperienze in questo senso molto interessanti; una pietra miliare dell’approccio alla comunicazione pro-vita basata sul cervello destro è l’articolo “Abortion: a failure to communicate” di Paul F. Swope, pubblicato sulla rivista First Things di aprile 1998.
Quell’articolo è nato dall’esperienza di Vitae Foundation (www.vitaefoundation.org), nata nel 1992 dal lavoro di Carl Landwehr che resosi conto della necessità di essere più efficaci nella comunicazione prolife convocò alcuni imprenditori locali con la domanda “Come vendereste il prodotto vita se fosse il vostro business?”.
La domanda, ammettiamolo, era piuttosto grezza, ma l’intuizione importante: serviva approcciare la comunicazione prolife in modo professionale, scientifico, come lo è ormai da tempo la comunicazione commerciale.
La risposta fu il suggerimento di utilizzare i mass media per far uscire il dibattito sull’aborto fuori dai convegni e dalle sagrestie e portarlo nell’arena pubblica; da allora la fondazione non ha mai smesso di fare ricerca su come migliorare l’efficacia della comunicazione prolife, ed il successivo passaggio fondamentale è stato il coinvolgimento di un’organizzazione che sviluppa professionalmente messaggi orientati agli aspetti emozionali della comunicazione, e soprattutto creati a partire da una analisi delle esigenze e delle dinamiche psicologiche dei destinatari della comunicazione.
A mero titolo di esempio, questa organizzazione si è accorta che la scelta di abortire non era fra l’opzione “sopportare una gravidanza imbarazzante” e “distruggere la vita di un bambino innocente”, quanto piuttosto quella fra “la mia vita è finita” e “la vita di questo nuovo bambino è finita”; in questa prospettiva, la scelta dell'aborto diventa quella dell'autoconservazione, una posizione molto più difendibile, sia per la donna che decide di abortire, sia per coloro che sostengono la sua decisione.
Le volontarie di Uniti per la Vita che si occupano dell’accoglienza delle madri che si trovano nella situazione di prendere in considerazione la possibilità di abortire conoscono bene queste dinamiche, e da molto tempo affrontano i colloqui preparate sulle dinamiche psicologiche dell’aborto per condurre in modo professionale le donne che chiedono il nostro aiuto a valutare opzioni diverse, di apertura alla vita, certamente senza mai sconfinare in campi che non ci competono.
Pare arrivato da gran tempo il momento che lo stesso grado di preparazione e professionalità sia applicato anche alla comunicazione al largo pubblico, utilizzando tutti i canali mediatici e digitali a disposizione, utilizzando le varie forme espressive audiovisive disponibili, come pubblicità, film, serie tv, brani musicali, influencer e simili, e gestendo consapevolmente, evitandolo, il rischio di cadere in messaggi pro-scelta, affinché l’aborto torni ad essere ciò che è stato e che sarebbe dovuto restare: impensabile.
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